Dipendenti spiati su Facebook: la cassazione dice SI

Il datore di lavoro può spiare il proprio dipendente anche su Facebook. La Cassazione ha dato il via libera, ma ad una condizione: spiare solo per riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale e non per controllare l'attività lavorativa.

Scritto da

Simone Ziggiotto

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Il datore di lavoro può spiare il proprio dipendente anche su Facebook. La Cassazione ha dato il via libera, ma ad una condizione: la forma di controllo attraverso la creazione da parte del datore di lavoro di un falso profilo Facebook è ammessa per "riscontrare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale" e non per controllare "l’attività lavorativa più propriamente detta".

Per fare chiarezza, la Cassazione considera la creazione di un falso profilo Facebook, di per sè, violazione dei principi di buona fede e correttezza "nell’esecuzione del rapporto di lavoro". Bisogna quindi fare molta attenzione su chi si decide di accettare come amico sul social network.

Se il vostro datore di lavoro avesse intenzione di spiare un proprio dipendente attraverso il social, può farlo, nel limite di quanto stabilito dalla Cassazione, che fa riferimento ad una “tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi ‘occulti’, anche ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti”. Il datore di lavoro potrebbe, dunque, delegare o assumere qualcun altro al suo posto per spiare il dipendente su Facebook, sempre senza controllare "l’attività lavorativa più propriamente detta" e "ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti,(…) e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale".

La Cassazione si è pronunciata sul caso di ricorso di un operaio abruzzese addetto alle stampatrici che era stato licenziato "per giusta causa" nel settembre 2012 in seguito all’accusa del datore di lavoro di essersi intrattenuto con il suo cellulare a conversare su Facebook. L’azienda si è accertata dell’azione del dipendente attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un ‘falso profilo di donna su Facebook’. Nel 2013, la Corte d’appello dell’Aquila, nel dicembre 2013, aveva ritenuto legittimo il controllo fatto sul dipendente, ritenendolo privo di "invasività". Giudizio confermato oggi dalla Cassazione che ha negato così il ricorso del dipendente, confermando il suo licenziamento.

Fate molta attenzione su chi decidete di accettare come amico sul social network, ed evitate, se possibile, l’utilizzo di Facebook in orario di lavoro.

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