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Apple Watch: dettagli sul chipset S1 con tecnologia Samsung

Ora che l’Apple Watch è finalmente arrivato in diversi Paesi del mondo, si cominciano a scoprire dei dettagli piuttosto interessanti sul suo hardware interno. Nell’approfondimento di oggi desideriamo parlare del chipset S1, il vero e proprio cuore pulsante dello smart watch della Mela, realizzato con delle tecnologie firmate Samsung. Ecco tutti i dettagli a tal proposito!

Tra Apple e Samsung c’è un rapporto di amore e odio: le due aziende hanno perso un mucchio di tempo (e di soldi) in moltissimi processi nei tribunali di mezzo mondo, e al tempo stesso hanno bisogno l’una dell’altra. Le forti vendite dell’iPhone e dell’iPad fanno comodo a Samsung, e Apple necessita del colosso sud coreano per diversi componenti fondamentali dei propri prodotti, in particolare i display, i microprocessori e i banchi di memoria RAM. Non bisogna quindi essere sorpresi che anche il recente Apple Watch abbia al suo interno moltissima tecnologia Samsung.

Gli esperti di ChipWorks si sono divertiti a smontare pezzo per pezzo il primo smart watch della casa di Cupertino: oltre ovviamente alla batteria e ai singoli elementi (come i sensori, il microfono, ecc..), troviamo il chip S1, il componente principale dell’orologio.

La prima sorpresa positiva è che il chipset S1, delle dimensioni di 26 mm x 28 mm, contiene un totale di 30 elementi diversi. Nonostante le dimensioni contenute, è stato possibile inserire davvero molti componenti fondamentali per il corretto utilizzo del device, a tutto vantaggio del design finale (scocca meno spessa) e dell’autonomia. Meno spazio occupa il chipset principale, e più spazio c’è a disposizione per la batteria al litio. Il chipset S1 è formato da 512 MB di memoria RAM, un modulo Broadcom per la connettività senza fili Wifi, un sensore accelerometro/giroscopio realizzato da STMicroelectronics, la CPU, la GPU e altri piccoli componenti. Sia il processore che il chip grafico sono stati realizzati con il processo produttivo LP a 28 nanometri di Samsung, una tecnologia che era all’avanguardia un paio di anni fa, ma adesso ormai è superata.

Per intenderci, il processo produttivo a 28 nanometri era stato utilizzato per il chipset presente nell’iPhone 5 e nell’iPhone 5S, mentre sia l’iPhone 6 che l’iPhone 6 Plus hanno il processore Apple A8 realizzato a 20 nanometri. Senza entrare nei dettagli troppo tecnici, un numero più piccolo implica una maggiore miniaturizzazione, garantendo così più spazio agli altri componenti interni. Senza dimenticare il fatto che spesso il maggiore spazio a disposizione viene sfruttato per aumentare le prestazioni e la capacità della batteria.

E dire che anche la tecnologia a 20 nanometri ormai appartiene al passato, visto che i nuovi iPhone e iPad in uscita dopo l’estate potrebbero avere il processore realizzato a 14 nanometri. Alcuni di voi si staranno chiedendo come mai i tecnici di Apple non hanno subito realizzato l’Apple Watch con le ultime tecnologie produttive. Il motivo è presto detto: il processo a 28 nanometri è ormai ben collaudato, mentre quello a 14 nanometri è appena agli inizi. Di conseguenza, erano da evitare problemi di produzione che avrebbero fatto rimandare ulteriormente la data di uscita del device. Già lo smart watch è arrivato sul mercato con un paio di mesi di ritardo rispetto a quanto previsto inizialmente (doveva uscire entro San Valentino, o entro i primi di Marzo), figuriamoci se c’erano altri problemi per quanto riguarda la produzione in massa del chipset S1.

E non è tutto: iniziare da 28 nanometri è un vantaggio per gli ingegneri della Mela, visto che in questa maniera la strada in futuro sarà tutta in discesa. Con il passaggio ai 20 o 14 nanometri, ci saranno notevoli miglioramenti in termini di efficienza energetica e disposizione dei componenti interni, tanto che gli esperti del settore si aspettano un design più sottile e un’autonomia sensibilmente maggiore per il prossimo Apple Watch 2. Ma quando arriverà la seconda generazione? Tempo al tempo, anche perché il primo modello deve ancora arrivare in Italia e in molti altri Paesi. Per ora infatti è realtà soltanto in Australia, Canada, Cina, Francia, Germania, Giappone, Hong Kong, Regno Unito e Stati Uniti.

Se tutto va bene, la seconda generazione sarà provvista di un maggior numero di sensori per la salute, per il monitoraggio dei livelli di stress, pressione sanguigna e ossigenazione. Tutte cose che in molti si aspettavano già nel primo modello, ma che per un motivo o per l’altro sono state scartate.

gabrico

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