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Bose accusata di spiare attraverso le cuffie

Un residente di Chicago sostiene che l’applicazione ‘Connect’ di Bose tiene traccia e conserva le abitudini d’ascolto degli utenti, dati che vengono poi venduti alle aziende che li utilizzano per scopi pubblicitari. Con questa accusa, lo statunitense Kyle Zak ha fatto causa alla società Bose, produttrice di sistemi audio, per violazione della privacy, chiedendo un risarcimento danni da 5 milioni di dollari.

"La gente mette le cuffie in testa perché pensa di stare in privato, ma possono cosi’ dare informazioni che non vogliono condividere", ha dichiarato l’avvocato Christopher Dore, che rappresenta Zak, all’agenzia di notizie Reuters. Dore lavora presso lo studio legale Edelson PC ed è specializzato in casi che ruotano attorno alla privacy dei dati.

Stando ai documenti legali presentati, Zak ha scaricato l’applicazione Bose Connect subito dopo aver acquistato un paio di cuffie QuietComfort 35 e completato la registrazione iniziale. Questa applicazione consente agli utenti di controllare ciò che ascoltano tramite il loro smartphone, e secondo Zak, ha iniziato a raccogliere molte più informazioni sulle sue scelte audio rispetto a quelle che si aspettava. Zak ha detto di aver appreso che Bose ha inviato "tutte le sue informazioni raccolte" dal suo smartphone a terze parti tra cui a Segment.io, il cui sito promette di raccogliere i dati dei clienti e di "inviarli ovunque".

Il reclamo sostiene che informazioni degli utenti vengono raccolti anche da altri gadget Bose tra cui SoundSport Wireless, Sound Sport Pulse Wireless, QuietControl 30, SoundLink Around-Ear Wireless Headphones II, e SoundLink Color II.

La legge statunitense non prevede che una persona possa "intercettare intenzionalmente, sforzarsi di intercettare o cercare di intercettare qualsiasi altra persona attraverso qualsiasi tipo di comunicazione, che sia tramite filo, orale o elettronica". Nella causa si legge che "Per raccogliere informazioni sui media dei clienti, il responsabile ha progettato e programmato Bose Connect per intercettare continuamente e contemporaneamente il contenuto delle comunicazioni elettroniche che i clienti inviano ai loro prodotti wireless Bose dai loro smartphone, come le istruzioni operative relative al salto e riavvolgimento delle tracce audio e dei loro corrispondenti titoli. (…) In altre parole, quando un utente ha interagito con Bose Connect per cambiare la propria traccia audio, il responsabile ha intercettato il contenuto di tale comunicazione elettronica".

Bose Connect consente agli utenti di saltare i brani o di mettere in pausa una traccia durante la riproduzione. Secondo le accuse, ogni volta che un utente di Bose Connect mette in pausa, salta o riascolta un brano, l’azione va a costituire una comunicazione elettronica.

"Combatteremo le accuse diffamatorie e fuorvianti fatte contro di noi attraverso il sistema legale", ha detto una portavoce di Bose in una e-mail come riportato dal sito Cnet. "Non intercettiamo le comunicazioni, non vendiamo le informazioni e non utilizziamo niente per raccogliere dati e identificare gli utenti – o chiunque altro – per nome".

Se il giudice darà ragione a Zak, Bose potrebbe trovarsi in guai seri perchè si creerebbe un precedente e a quel punto tutti i proprietari di un dispositivo Bose che hanno utilizzano l’app Bose Connect potrebbero accusare a loro volta la società.

Per tranquillizzare i clienti Bose attenti alla privacy, è presumibile che – nel caso in cui l’applicazione davvero raccoglie informazioni per poi rivenderle – se non si utilizza l’applicazione allora non ci sono dati che rischiano di essere raccolti.

Simone Ziggiotto

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