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Whatsapp bloccato in Cina dal governo

La Cina ha bloccato WhatsApp, stando a quanto riferisce il The New York Times citando esperti di sicurezza. Negli ultimi mesi, in Cina gli utenti che usavano WhatsApp hanno segnalato di continue interruzioni nell’uso del servizio, impossibilitati dal condividere video e foto nelle chat mentre da alcuni giorni segnalano che è per loro impossibile anche lo scambio dei semplici messaggi di testo.

A confermare il blocco completo di Whatsapp in Cina a The Verge è Nadim Kobeissi, un crittografo per la Symbolic Software, società di ricerca con sede a Parigi che controlla anche la censura digitale in Cina: "In sostanza, sembra che quello che abbiamo inizialmente monitorato come censura delle funzionalità di condivisione di foto, video e voce in WhatsApp nel mese di luglio si è ormai evoluto a quello che sembra essere il blocco del servizio di messaggistica in tutta la Cina", ha detto Kobeissi al sito.

Secondo Kobeissi, il governo cinese potrebbe avere recentemente aggiornato i propri sistemi per rilevare e bloccare il protocollo NoiseSocket che WhatsApp utilizza per lo scambio dei messaggi di testo, oltre oltre a bloccare l’HTTPS/TLS che WhatsApp utilizza per gestire lo scambio di foto e video.

Per Facebook si tratterebbe della seconda applicazione bloccata in Cina, dopo che il social network è stato bandito nel Paese dal 2009.

La crittografia end-to-end di WhatsApp è probabilmente la ragione per cui la Cina è contro questo popolare servizio di messaggistica. La crittografia ent-to-end, infatti, serve a rendere le conversazioni segrete, visibli solamente al mittente e al destinatario – nemmeno Facebook (proprietaria di Whatsapp) potrebbe leggere cosa scrivono gli utenti. E questo al governo di Cina non piace.

Il governo cinese fa tutto il possibile per far rispettare le sue leggi contro il terrorismo nella regione, minacciando blogger e editori online che non rispettano le regole – nel 2016, il governo è arrivato persino a mettere in quarantena l’intera regione dello Xinjiang dal resto di Internet per più di dieci mesi nel 2009. Lo Xinjiang, patria della minoranza musulmana uigure in Cina, è uno dei luoghi in cui internet è piu’ limitato. Tuttavia, i residenti Xinjiang ancora riescono ad eludere i controlli, la censura e la sorveglianza nella ricerca della propria libertà di espressione. Come? Usano reti private virtuali e altri metodi per aggirare il Firewall (filtro) imposto dal governo.

Nel 2016, la Electronic Frontier Foundation – un’organizzazione attiva nella difesa della privacy – ha riportato che il governo in Cina avrebbe deciso di contrastare chi fa uso di applicazioni come Telegram o WhatsApp e reti virtuali chiedendo agli operatori mobili di bloccare l’acceso ad internet ai loro utenti. Questo per impedire l’uso di applicazioni di messaggistica popolari che adottano metodi contro la sorveglianza dei governi, tra cui WhatsApp e Telegram. Come riportato dall’EFF lo scorso anno, un gruppo di residenti a Xinjiang si sono trovati di punto in bianco senza connessione ad internet sul loro telefono. Come risposta alla richieste di una spiegazione, gli utenti hanno appreso dai loro operatori telefonici che dovevano far visita ad una stazione di polizia per avere il servizio ripristinato. Era infatti diventato necessario rivolgersi alla polizia per riavere accesso ad internet, se bloccato dall’operatore, così l’agente in persona puo’ controllare che l’utente non fa uso di reti VPN o di applicazioni di messaggistica non approvate. Se viene trovato del software installato non approvato, come ad esempio Telegram, la polizia non rimuove il blocco ad internet, lo farà solo una volta che il programma viene disinstallato.

In Cina lo smartphone puo’ essere perquisito. In diversi rapporti è emerso che ai posti il blocco i controllori possono chiedere la perquisizione dello smartphone, per controllare se vi sono installate particolari applicazioni. Presso un posto di blocco stradale, come riportato dall’EEf all’inizio dello scorso anno citando una nota di un corrispondente del New York Times in Cina, ad un gruppo di persone di diversa etnia è stato chiesto di consegnare i loro cellulari – la polizia locale li ha controllati, e indicato che applicazioni come Skype e WhatsApp sono ritenute sospette. Al momento il controllo delle applicazioni installate su uno smartphone da parte della polizia cinese sembra essere limitato alla provincia dello Xinjiang, ma non si esclude che potrà essere esteso a tutta la Cina. Un giorno, in Cina potrebbe diventare illegale anche solo avere installato Whatsapp sul telefono.

Simone Ziggiotto

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