Spotify, crisi in vista per colpa anche di Apple Music

Spotify si appresta a rinnovare i contratti a lungo termine con le etichette musicali, ma il modello di business adottato fino ad oggi potrebbe non essere accettabile.

Scritto da

Simone Ziggiotto

il

Spotify inizia a sentire aria di crisi? Forse si da un certo punto di vista.

A far discutere piu’ di ogni altra cosa quando si tratta l’argomento dei servizi di streaming di musica come Spotify, Apple Music, Tidal, Deezer e altri è: quanto pagano di royalty agli artisti? Pagano il giusto o troppo poco? Ed è giusto che esistano servizi come Spotify che fanno ascoltare musica gratis? Ci sono stati artisti come Taylor Swift, Adele e altri che si sono ribellati contro i servizi di musica in streaming limitando o escludendo del tutto i loro brani dai cataloghi, ma poi quando si sono resi conto che comunque si tratta di servizi sempre piu’ popolari hanno fatto dietro-front e la loro musica adesso si puo’ ascoltare anche in streaming.

A far discutere non sono pero’ servizi come Apple Music o TIDAL, che aprono il loro catalogo esclusivamente agli abbonati che pagano per il servizio offerto, bensi’ a far discutere sono i servizi che adottano il modello di abbonamento freemium come Spotify, che prevede zero costi per l’utente a patto di ascoltare degli spot pubblicitari ogni tanto. In tal caso sono gli introiti che arrivano dalla pubblicità a pagare gli artisti. Ma questo è giusto?

Spotify è il servizio di streaming musicale ondemand piu’ completo e longevo, che si è creato un proprio modello di business da zero. Poi è arrivata Apple nel 2015 a mettere il ‘bastone tra le ruote’ e così in poco piu’ di un anno Apple ha già raccolto 15 milioni di abbonati che pagano per accedere a Apple Music, la metà degli abbonati (30 milioni) che Spotify ha raccolto in diversi anni.

Music Business Worldwide, in un articolo pubblicato del 22 Agosto, riporta che Spotify è in scadenza di contratto con le tre principali etichette musicali: Sony, Universal Music, e Warner, e suggerisce che i piani sono quelli di pagare mese per mese le royalty a ciascuna etichetta fino a quando non verranno firmati i nuovi contratti a lungo termine. Pertanto, anche se i contratti scadranno, gli abbonati a Spotify potranno continuare ad ascoltare la musica che preferiscono.

Alcune delle etichette che stanno trattando con Spotify i termini degli accordi del nuovo contratto hanno espresso preoccupazione per le promozioni aggressive di Spotify come il piano Famiglia da 15 euro al mese che estende l’abbonamento a sei utenti o la promo occasionale che permette di avere tre mesi di abbonamento per meno di 1 euro. La preoccupazione è che queste promozioni sono state attivate senza il consenso con le etichette.

Apple Music paga il 58% delle entrate alle etichette discografiche, mentre Spotify si dice che fatica a pagare il 55% come stabilito negli accordi in scadenza con le etichette. Nell’ultimo trimestrale, Spotify ha riportato una perdita di ricavi pari a poco più di 2 miliardi di dollari.

Apple nei mesi scorsi ricordiamo aver scritto una proposta in collaborazione con il Copyright Royalty Board che prevede di fissare tassi di royalty fissi per i servizi di musica in streaming, un metodo semplificato per corrispondere le royalty derivanti dallo streaming alle etichette discografiche, che poi danno il dovuto agli artisti che rappresentano.  L’idea di Apple è quella di impostare un tasso di royalty a 9,1 centesimi di dollari per 100 ‘streams’ ovvero per riproduzioni di un brano.

Una tariffa fissa andrebbe a cambiare (e semplificare) come i tassi di royalty sono gestiti dai singoli servizi. Oggi, le società di streaming condividono dal 10,5 al 12% dei loro guadagni tramite formule che tengono in considerazione fattori (tra cui il numero delle riproduzioni ma non solo) per arrivare ad un prezzo finale che viene poi corrisposto alle case discografiche. E’ comunque possibile per i vari servizi di streaming avere accordi particolari con le singole etichette, creando quindi ancora piu’ confusione attorno al calcolo delle royalty.

Se approvate, le nuove regole dovrebbero entrare in vigore nel 2018 e rimane attive fino al 2022.  

La proposta di Apple potrebbe essere un duro colpo contro Spotify, una società che vanta si 100 milioni di utenti attivi, il cui 70% pero’ utilizza la versione free del servizio, quella con la pubblicità; solo 30 milioni di utenti Spotify sono abbonati al pacchetto Premium. Il ‘pericolo’ per società come Spotify, che offrono anche streaming gratuito, sarebbe quello di trovarsi a pagare alle etichette discografiche cifre troppo elevate per riuscire a sopravvivere.

Apple ha sempre ritenuto che offrire streaming gratis di musica va a discapito di musicisti ed editori, e la sua proposta potrebbe davvero mettere in crisi Spotify e altri servizi che offrono streaming gratuito. Tolto questo tipo di concorrenza, Apple avrebbe una strada meno difficile da percorrere per far crescere il proprio servizio Apple Music, che dopo un anno dal lancio contava gia’ 15 milioni di utenti paganti nel mese di giugno di quest’anno, la metà di Spotify (che pero’ ha impiegato anni per arrivare a 30 milioni).

"Qualsiasi decisione di limitare lo streaming libero potrebbe incoraggiare i consumatori a firmare per servizi a pagamento, tra cui Apple" scrive Billboard. "La proposta dell’azienda potrebbe anche aiutare autori ed editori, anche se hanno sostenuto che meritano una maggiore percentuale di entrate dallo streaming. Questa idea dovrebbe presumibilmente essere applaudita dalle principali etichette, che hanno manifestato interesse a limitare lo streaming gratuito".

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